HomeARCHITETTURASambuceto, Chieti. La Chiesa di San Rocco. Progetto Mario Botta

Sambuceto, Chieti. La Chiesa di San Rocco. Progetto Mario Botta

La chiesa di San Rocco a Sambuceto-Chieti. Arcidiocesi di Chieti-Vasto

Nel segno della mediazione tra terra e cielo

L’architetto Mario Botta ha progettato tante chiese e grazie al suo modo di concepire il disegno architettonico è riuscito a rendere ben distinguibile un proprio stile, in un’epoca che aveva totalmente abbandonato e scartato gli stili come se fossero inutili incamiciature della libera creatività e originalità del singolo artefice. Nelle opere di Botta c’è sempre un fondamentale rigore geometrico che rende la forma al mondo delle proporzioni, recuperando quel rapporto tra libertà del disegno e fondamento strutturale ch’è altrimenti stato un cruccio dal secondo dopoguerra, e in particolare in Italia, dando luogo a dissidi tra l’approccio architettonico da un lato, per solito dispiegato nel campo dell’esibizione formale, e quello ingegneristico dall’altro, ancorato alla necessità di rendere solidità a sicurezza all’edificio. Così sono stati relegati in una lontananza abissale i tempi in cui un Brunelleschi proprio nel rispondere nel modo migliore alle necessità statiche cavava forme preziose, aneliti di infinitudine, perenne testimonianza di ingegno nella soluzione degli arditi problemi strutturali quali quelli lasciati da Arnolfo di Cambio nel grande tamburo della cattedrale fiorentina.

Mario Botta ha inventato nuovi sistemi per dare perfetta coerenza alle soluzioni strutturali e, assieme, anche a quelle del disegno, trovando un nuovo equilibrio tra forma e struttura in un’epoca in cui la seconda sembrava essere condannata a inseguire affannosamente le pretese della prima.

Il modello della chiesa. Foto di Enrico Cano, courtesy Mario Botta

E nella nuova chiesa di Sambuceto, inaugurata dal vescovo Bruno Forte sabato 15 giugno 2024, ha individuato anche una soluzione capace di rendere appieno la carica di simbolicità che si richiede a un edificio dedicato al culto cristiano: simbolicità che in questo caso è radicata nella tradizione mentre sa essere anche espressione dell’epoca nostra.

L’obiettivo è raggiunto fondendo l’idea della cupola con la forma della croce.

La chiesa di San Rocco nel panorama urbano circostante. Foto di Marco Mornata, courtesy Mario Botta

Già si era mosso in questo senso Kenzo Gange per la Cattedrale di Tokyo, inaugurata nel 1964. Anche Pier Luigi Nervi con Pietro Belluschi ha elaborato lo stesso tema per la cattedrale di San Francisco, consacrata nel 1971. Vi sono altre chiese contemporanee in cui la croce è assunta come motivo ispiratore della struttura formale dell’edificio.

Ma nella chiesa di Sambuceto questo cammino progettuale assume una veste singolare, poiché va aldilà del rapporto, più volte e variamente esplorato, del rapporto tra dimensione orizzontale e dimensione verticale, per trovare una mediazione tra le due che diviene momento suggestivo del messaggio cristiano, grazie al grande piano incinato di copertura che si china sullo spazio dell’assemblea.

Il sagrato, abbracciato su due lati dal lungo edificio dei servizi parrocchiali che si prolunga nel viale urbano che impernia la città, permette a un tempo di dare ordine al paesaggio urbano e di raccoglierne le energie per esprimerle nel volume della chiesa, che emerge come un grande fiore. Così le dinamiche orizzontali della vita quotidiana sono accolte e trasfigurate nello slancio, raccolto e ben misurato, che la croce rivolge al cielo. Obliqua: non verticale. In modo tale da conservare il senso del radicamento e dell’accettazione tra le sue braccia di quanto questa terra offre.

L’edificio si inchina e così facendo si volge tanto a questo nostro mondo terreno quanto alla realtà celeste. È la croce a mediare la distanza tra questi due mondi: così come la Croce del Golgota si pose come espiazione e salvezza.

È inconsueto trovare ai nostri tempi un’architettura che come questa sappia coniugare il valore simbolico con la finalità liturgica mantenendo del pari un’intrinseca coerenza strutturale.

La chiesa vIsta dal sagrato. Foto di Enrico Cano, courtsy Mario Botta

Dalla dinamica conformata nel lineare e allo stesso tempo avvolgente movimento dell’edificio che delimita il sagrato sorge con naturalità il volume della chiesa che nel suo protendersi inclinato unisce terra e cielo evidenziando con forza la primazia di tale unione, radicata in una forte coerenza.

Le te absidi, viste da sud-est. Foto di Enrico Cano, courtesy Mario Botta

Da questa organizzazione generale del luogo e della nuova costruzione discende con logica semplicità la presentazione interna dell’aula. La parete di fondo, in omaggio alla tradizione accoglie tre absidi delle quali la centrale ha ampiezza molto maggiore di quelle laterali. Queste demarcano i luoghi liturgici con la loro gerarchia dimensionale evidenziata dallo stagliarsi delle superfici di color ocra vivo contro il piano inclinato il cui chiarore si densifica col crescere dell’altezza sino a divenire figura del cielo notturno nel quale grandi brillano le stelle. Come si vedono brillare vicine nelle vaste notti del deserto. È cielo ma potrebbe essere il velo azzurro della Madonna. Così la chiesa si manifesta con chiarezza come il regno della pace.

Vista verso la pedana d’altare. Foto Archivio Botta

Un’opera di armonica completezza. Frutto bensì dell’esperienza e della maestria di Mario Botta, ma anche del dialogo che questi ha potuto intessere col committente, nella figura del vescovo, Mons. Bruno Forte.

Per una miglior comprensione di quest’architettura, riproduciamo qui di seguito ampie citazioni di due testi: il primo scritto da Mario Botta a mo’ di lettera indirizzata all’Arcivescovo Bruno Forte per la cerimonia di inaugurazione; il secondo scritto da Bruno Forte per spiegare i contenuti del progetto e tratto da: “Mario Botta Spazio Sacro, Architetture 1966-2018” (Edizioni Casagrande SA, Bellinzona 2018).

Il lucernario a croce. Foto Archivio Botta

Origini e ragioni del progetto

di Mario Botta

. La chiesa di Sambuceto nasce dalle rovine di un terremoto e dalla volontà di una comunità di cittadini di reagire per consolidare una loro identità di storia e di fede.

Ho cercato di interpretare le esigenze di vita, le speranze e le attese anche nel bel mezzo delle contraddizioni del vivere quotidiano.

Il compito dell’architetto, anche nei temi che coinvolgono lo spazio sacro, resta quello di testimoniare, nei tempi della propria storia, i valori identitari sedimentati nel grande passato e segnare una coscienza critica dell’essere oggi uomini sulla terra.

L’architettura è una forma espressiva onesta e severa, nella quale la bellezza si identifica con le verità strutturali e con la misura legata agli aspetti funzionali, tecnici e paesaggistici; un insieme difficile, molto difficile, da raggiungere oggi nella società dei consumi.

Noi – con tutti gli operatori, gli artigiani e i tecnici – ci abbiamo provato ricorrendo all’aiuto di una storia ecclesiale che ha attraversato i secoli e che, ancora oggi, ci sorregge nelle scelte basilari. Abbiamo attinto a piene mani, attraverso le scelte dei maestri che abbiamo incrociato, dalla vastissima storia del “sacro”, nella convinzione che sacra sia l’architettura stessa, poiché trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura.

I primi schizzi di Mario Botta. Foto Archivio Botta

I primi schizzi, dopo l’incontro con Monsignor Bruno Forte, risalgono al 2006. Un ventennio durante il quale, nel mondo, si è acuita la crisi dovuta alle fonti energetiche, siamo passati per l’esperienza dolorosissima della pandemia e stiamo ora vivendo due guerre, difficilmente immaginabili alle porte della vecchia Europa, che stanno stravolgendo i già precari equilibri di vita.

Il progetto per la chiesa di San Rocco si presenta con un’unica aula che, in elevazione, si modifica per modellare un sistema triabsidale (una grande abside centrale fra due absidi laterali minori) e si conclude, a livello della copertura, con una croce greca che diviene, nell’incontro con il perimetro, un lucernario fonte di luce zenitale.

Lo sviluppo dei disegni. Foto Archivio Botta

Un gesto compositivo azzardato generato dalla volontà di evidenziare, sopra i tetti della città, la croce come generatrice della storia ecclesiale. Una composizione plastica dove i ruoli delle pareti laterali e dei solai di copertura assumono funzioni intercambiabili.

Sezioni e piante. Archivio Botta

Negli ultimi giorni, dedicati alle finiture della chiesa, ho affrontato i rischi di un tinteggio della parete absidale, dipinta a fasce regolari orizzontali che sfumano dal bianco al blu, e infine al nero nel loro innalzarsi verso l’alto, facendo emergere un cielo stellato che ricorda quello di Giotto nella Cappella degli Scrovegni.

La parete stellata e lo scorrere della luce solare nel corso delle ore che giunge sulla sua superficie riflessa dal pavimento. Qui al mattino. Foto Enrico Cano, courtesy Mario Botta

Un eolquente spazio del sacro

di Bruno Forte, Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

«L’architettura porta con sé l’idea del sacro». Queste parole di Mario Botta fanno già comprendere come progettare e costruire un edificio sia sempre creare un ponte fra la terra e il cielo, quasi imitando nel frammento il gesto archetipico creatore del tutto.

carico di simbolismi è l’interno di questa singolare “scrittura dello spazio”, che Mario Botta ha saputo esprimere nella chiesa di San Rocco: uno spazio in forma di grembo accogliente, sovrastata dalla tenda, culminante nella triplice cavità dell’abside. L’idea dell’attendamento di Dio (la shekinah) è familiare al mondo biblico: dalla “tenda del convegno” costruita da Mosè durante il cammino di 40 anni del popolo ebraico nel deserto, narrato nel (cf. Es 40,1ss), all’attendarsi del Signore nel Tempio di Gerusalemme, divino “contrarsi” (tzimtzum) in un luogo per amore del Suo popolo, alle varie epifanie divine, fino al “mettere le sue tende in mezzo a noi” del Figlio eterno (Gv 1,14). Il messaggio veicolato è suggestivo e toccante: l’Eterno è entrato nel tempo affinché nessuno dei figli di Adamo potesse mai più sentirsi solo e la compagnia divina fosse di conforto, sostegno e difesa al popolo pellegrino nei secoli. La fede ebraica confessa con assoluta certezza questa vicinanza di Dio al popolo eletto: “Ovunque vennero esiliati, la Shekinah andò con loro” (Talmud, Trattato Megillah 29a). Il cristianesimo si fonda sulla fede nell’incarnazione del Figlio eterno, mandato dal Padre a mettere la Sua tenda fra noi per amore nostro.

La parete stellata e lo scorrere della luce solare che giunge sulla sua superficie nel riflesso di mezzodì. Foto Enrico Cano, courtesy Mario Botta

L’ambiente interno della chiesa di Sambuceto, corrispondente alla forma slanciata della tenda, è quello di un grembo accogliente: anche qui la lettura teologica si radica nella tradizione biblica. In ebraico il termine per indicare la misericordia è rachamim, espressione che designa propriamente le “viscere” materne, il grembo in cui ha inizio ogni vita. Sul piano delle relazioni che ci fanno umani l’immagine richiama il sentimento intimo di coappartenenza che lega il concepito alla madre, il legame originario fra chi dà vita e chi la riceve, sentimento di tenerezza profonda (“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”: Sal 103,13). La misericordia evoca l’amore viscerale, non condizionato dalla reciprocità, mosso unicamente dalla volontà di bene per l’altro: l’idea è quella di una custodia primordiale che accoglie, nutre e protegge, e di un’oscurità ospitale in cui la creatura concepita vive in simbiosi con la madre e ne riceve alimento, impulso e custodia.

Nell’architettura sacra questa duplice indicazione può essere evocata dalla forma interna dello spazio e dalla maniera in cui in esso le masse tagliano la luce. Così, ad esempio, le forme del romanico con l’arco a tutto sesto e la struttura basilicale delle chiese evocano un’armonia e una compiutezza ospitali, in cui la luce si diffonde come abbraccio materno che avvolge ogni cosa, mentre nel gotico è lo slancio dell’arco a sesto acuto e il gioco della penombra che tende verso la luce dal basso all’alto a scrivere una forma dinamica, che stimola lo slancio del cuore verso Dio e la ricerca dello splendore divino a partire dalle tenebre del tempo che passa. Nella chiesa di San Rocco a Sambuceto Mario Botta ha reso in maniera originale questo messaggio, situando l’assemblea liturgica in una forma spaziale ariosa e insieme avvolgente, grembo di vita che viene dall’alto a pervadere il popolo celebrante e ogni singolo fedele.

Infine, lo spazio sacro interno all’opera di Botta in terra d’Abruzzo culmina nella triplice abside, più vasta quella centrale, di dimensioni minori, fra loro identiche e corrispondenti, quelle laterali: la simbolica trinitaria è qui evidente. Al centro il Padre, fonte e principio della vita divina, ai due lati “le mani del Padre” (Sant’Ireneo di Lione), il Figlio e lo Spirito Santo, rappresentati dalle due cavità minori alla destra e alla sinistra della cavità maggiore. Il senso è alto e profondo: la Trinità divina, mistero dell’Amante, dell’Amato e dell’Amore, uniti nell’unità essenziale del Dio che è Amore, è la meta di tutto perché di tutto è origine e custodia. Come le onde del mare del tempo non vanno a precipitare nel nulla, ma a riposarsi sulla sponda dell’eternità divina, così la barca, che è la Chiesa, tende a raggiungere la meta da cui viene, su cui avanza e dalla quale proviene, la stessa santa Trinità. Sulla parete absidale è rappresentato un cielo stellato, dove le stelle di diversa grandezza stanno a significare i credenti più o meno luminosi a seconda della loro vicinanza al vero Sole, che è Cristo. Nello spazio absidale si situa poi l’altare, il luogo sacro in cui si compie il sacrificio dell’Amato e le relazioni delle Persone divine irrompono ad abbracciare l’umanità pellegrina nel tempo, per introdurla nella gioia della patria, dove per sempre potremo vivere la domenica senza tramonto dell’amore vittorioso. Un messaggio di vita e di speranza, che la forma spaziale della Chiesa di San Rocco ben rende, e che proprio così educa il popolo fedele a riconoscersi amato, custodito e destinato alla bellezza che non avrà fine.

La parete stellata e lo scorrere della luce solare sulla sua superficie, riflessa dal pavimento sul far della sera. Foto Enrico Cano, courtesy Mario Botta

Nella sua architettura, splendida “scrittura della luce”, Mario Botta sa dirci tutto questo, forse al di là della sua stessa consapevolezza, com’è d’ogni artista, la cui opera è tanto più bella e grande quanto più trascende colui che l’ha concepita e realizzata. A lui, amico da anni, la mia gratitudine di pastore per avermi donato il progetto di questa bellissima chiesa, fatta oggetto di studio da tante parti del mondo e suggello altissimo della sua opera di riconosciuta “archistar”.

RELATED ARTICLES

Ultimi articoli