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Come l’arte del nostro tempo può porsi al servizio della Chiesa

“Se dopo il Concilio Vaticano II gli interventi nelle chiese antiche appaiono troppo spesso maldestri e incongruenti, il motivo è da ricercasi soprattutto in una committenza incapace di creare una regia tra i vari interlocutori”. Così Andrea Dall’Asta nel volume, scritto insieme con Claudia Manenti, Arte sacra nelle chiese. Criteri di intesa tra committenza e artisti (Ancora, pagine 108, euro 12,00). Un libro di notevole rilevanza: di temi attinenti all’arte e all’architettura si parla in tante opere, e moltissime sono quelle che sono state elaborate dopo il Concilio per cercare di individuare strade che possano permettere di recuperare anche nella produzione contemporanea qualcosa della sublime qualità universalmente riconosciuta alle opere artistiche compiute per le chiese nei secoli passati. Ma il confronto tra le opere di recente fattura e quelle del passato porta sempre, o quasi, sconforto. Dunque la magnificenza architettonica e artistica che spinge nugoli di turisti a visitare le grandi cattedrali storiche è destinata a rimanere relegata in una condizione di museo? Le chiese, dopo aver dato luogo al più importante patrimonio artistico esistente al mondo, sono destinate a restare come museo di se stesse? Hanno perso quella carica vitale che per secoli ha coinvolto i più importanti geni creativi nel produrre opere sublimi?

In vario modo la Chiesa Cattolica si è rivolta agli artisti con l’intenzione di sanare la frattura che si è andata dilatando col loro mondo: cruciale resta il discorso rivolto da papa Paolo VI l’8 dicembre 1965 agli artisti e sulla sua traccia hanno proseguito anche i suoi successori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le buone intenzioni, l’elaborazione teorica di fondo, la disponibilità al dialogo, la rilevanza primaria che riveste l’arte per la presenza della Chiesa nel mondo, sono tutte contenute e ripresentate in quegli interventi svolti dalla massima autorità del mondo cattolico.

Ma agli effetti pratici, c’è sempre qualcosa che manca. Le opere d’arte contemporanee, e molto spesso anche le opere architettoniche di nuova concezione, lasciano perlopiù perplessi. Tutti: committenti, fedeli, fruitori di ogni provenienza.

Sul fronte dell’architettura sono molti i volumi che tanti autori hanno redatto con l’intenzione di spiegare ai progettisti come dovrebbero concepire le nuove chiese. E, soprattutto, la Conferenza episcopale italiana ha attivato un sistema di concorsi che è giunto a definire un sistema di committenza capace di coinvolgere le comunità e i professionisti in un articolato percorso preparativo la cui validità è dimostrata dalla qualità delle realizzazioni più recenti.

Sul fronte alle opere d’arte invece ancora non vi sono esempi di committenza così ben strutturata e autorevole, se non in sporadici casi.

Uno di questi ultimi è quello attorno al quale si impernia quanto scrivono Dall’Asta e Manenti: i due Autori, altamente qualificati – essendo il primo direttore della Galleria San Fedele di Milano e la seconda direttore del Centro studi per l’architettura sacra della Fondazione Lercaro di Bologna – sotto gli auspici della bolognese esposizione di oggettistica per il culto “Devotio” gestita da Valentina Zattini, a partire dal 2016 hanno attivato e curato l’iniziativa denominata Percorsi di riavvicinamento: artisti contemporanei a confronto con il mistero cristiano. L’iniziativa sinora ha conosciuto tre edizioni: nel 2017, nel 2019 e nel 2022. Ogni edizione ha messo a tema un diverso argomento: l’immagine mariana per la prima edizione, il Crocifisso per la seconda e il cammino a Emmaus il terzo. Alla prima edizione sono stati invitati due artisti: Ettore Frani e Daniela Novello; alla seconda altri due artisti: Saba Masoumian e Luca Pianella; alla terza sono stati invitati quattro artisti: Carlos Lalvay Estrada, Arvin Golrokh, Alessandro Sanna, Norberto Spina. Gli artisti sono stati individuati in ragione delle loro capacità tecniche, espressive e creative, a prescindere dal loro credo religioso. I percorsi di dialogo infatti sono stati concepiti in modo tale da far sì che tutti acquisissero le cognizioni storiche e teologiche necessarie per affrontare le tematiche proposte. Ma soprattutto gli artisti sono stati accompagnati in un cammino esperienziale. Come spiegano i due Autori: “L’artista infatti interpreta sempre il tema proposto a partire dalla propria esperienza personale, dal suo stile, dal suo retroterra di conoscenza e di pre-giudizi”. Di qui che il cammino di dialogo abbia comportato soggiorni nel santuario francescano della Verna per consentire l’esperienza della liturgia nella sua forma autentica di azione comunitaria. E per superare quel che Claudia Manenti individua come “impoverimento” della pratica liturgica dovuta “alla poca cura data alle forme e ai gesti e al non ritenere i sensi il veicolo attraverso cui lo Spirito accede al cuore dei fedeli” (pag 26).

Si è trattato di un esperimento compiuto per mettere a fuoco le modalità col le quali attivare un percorso che necessariamente dev’essere compiuto con la guida di persone formate, capaci e attente, ma che richiederebbe anche una committenza “concreta”: ovvero destinata a un luogo specifico. Perché questo a sua volta è elemento fondante del formare l’idea che l’artefice trasmetterà con la propria opera: il limite del lavoro compiuto con l’iniziativa di Dall’Asta e Manenti – lo evidenziano gli stessi Autori nella conclusione del volume – è stato dato dal suo carattere di astrattezza laboratoriale e di mancanza di confronto con la comunità reale cui le opere sono destinate.

Tuttavia l’iniziativa ha dimostrato che è possibile compiere un cammino che, individuati artisti di valore e disposti all’ascolto, consenta loro si aprire la loro opera al servizio della fede con linguaggi riconoscibili come appartenenti al nostro tempo. Si richiede, ovviamente, che vi sia una regia competente e capace.

Andrea Dall’Asta, Claudia Manenti. “Arte sacra nelle chiese. Criteri di intesa tra committenza e artisti” (Ancora, pagine 108, euro 12,00)
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