Lettera aperta ai sacerdoti delle chiese nuove di oggi e di domani
Carissimi, quando mi trovo in uno di questi nuovi fabbricati registrati al catasto come “luogo di culto”, in quale voi, seguendo la vostra missione sacerdotale, dovete celebrare la parola di Dio, non posso fare a meno di chiudere gli occhi e chiedermi che cosa manca per sentirmi veramente dentro una chiesa, dove mi trovo e perché avverto intorno a me questo incolmabile vuoto?
Che cosa è rimasto dentro le mura di cemento e di pietra artificiale di un simile edificio segnato ancora da una croce solitaria? Di tutto quello che i costruttori delle cattedrali, dei sacelli o delle piccole pievi di campagna ci hanno lasciato nei tempi “bui” del medioevo, di tutto l’ingegno che le maestranze, i pittori, gli scultori, i mastri della pietra, del ferro, del legno, gli orafi e i tessitori, vi mettevano per raffigurare il corpo di Cristo nel corpo di una chiesa, di tutto questo non è rimasta oggi che la vostra voce umana per trasmetterci dal vivo la Verità del Verbo. Tutto il resto sembra sia stato risucchiato da un ciclone oscuro nella voragine dell’oblio, scaricato nelle betoniere di questa civiltà meccanica che stritola e divora la memoria della grande storia cristiana.
Con questi sacri detriti i costruttori di oggi forgiano nelle moderne “fabbriche del Duomo” – del Duomo-silos – la cattedrale d’”avanguardia” dei nostri tempi, che Hans Sedlmayr chiama, eufemisticamente, “garage per le anime”. Piantato nel cuore della metropoli, in spazi di alta densità urbanistica, in stridente flagranza con l’anima della città, questo silos non è certamente una “cattedrale nel deserto”. Il deserto sta dentro di se. E’ “il deserto nella cattedrale” la conquista dell’analfabetismo regnante nell’odierna architettura del… “sacro”.
Che cosa intendo per questo vacuum che rimbomba attorno a noi in questi “garages per le anime”? Mentre celebrate la Santa Messa, la vostra parola è rimasta l’unico tramite per incontrare il messaggio divino. Scriveva Meister Gerhardt nel XIII° secolo:
“Dio è una parola, il regno dei cieli è una parola; oltre la parola non abbiamo che il simbolo per definire la presenza di Dio” .
Ecco quello che manca in questi edifici nuovi: Il Simbolo. La raffigurazione visibile della parola divina. Se Cristo è il Dio incarnato, l’invisibile che di fa vedere, il Simbolo è la Parola di Dio incarnata.
Quando, nella settimana Santa si leggeva in chiesa l’Apocalisse, mentre il testo parlava del Cristo in trono che annuncia il Verbo primordiale, nell’affresco dipinto sulla parete, nell’immagine scolpita sul capitello o disegnata sulla pergamena, il fedele vedeva raffigurato il Cristo con una spada a doppio taglio in bocca, simbolo della forza invincibile della parola di Dio, del Verbo incarnato. L’iconografia della chiesa romanica illustrava il vecchio ed il nuovo testamento, la vita di Gesù e i fatti degli Apostoli, in chiave simbolica. La croce della crocefissione e del trionfo di Cristo raffigurata sugli altari (come a San Salvatore di Vasanello) o sui mosaici (di San Clemente in Roma) appariva come un albero dalle cui radici sgorgano i quattro fiumi del Paradiso, con i due cervi che si abbeverano dalle acque limpide come il cristallo, simbolo dell’Albero della Vita.
Durante la lettura dei brani liturgici, ascoltando la vostra parola, che cosa può vedere oggi il popolo su una parete di cemento nudo, o dentro una finta vetrata astratta senza alcun riferimento ad un tema sacro? L’arte astratta, gradita da alcuni sacerdoti nella loro chiesa, contraddice il principio stesso del cristianesimo: l’incarnazione del divino, il Dio invisibile che si fa vedere, lo spirito che appare ai nostri occhi in sembianze umane. Rimandare nell’invisibile il volto di Cristo, astrattizzare il creato e le sue fome simboliche, significa togliere all’immagine il mistero dell’incontro tra spirito e materia, tra Dio e l’uomo. Il declino della catechesi visiva ha lasciato sola la parola. Viviamo in un una civiltà dell’immagine, ed è proprio per questo che la presenza di una iconografia simbolica diventa indispensabile per rafforzare il significato della parola.
Gli addetti della modernità sostengono che viviamo in un altro tempo, che l’uomo di oggi non ha più bisogno di rappresentare i temi biblici come una volta, che bastano segni essenziali per comunicare i concetti sacri. La liturgia è stata compressa, inserita nel frettoloso ritmo della vita quotidiana, le omelie sono ridotte spesso a considerazioni sociologiche, il catechismo segue la stessa regola.
Abbiamo bisogno urgente di un ritorno all’iconografia, evidentemente senza imitare il passato, in uno spirito di rinnovamento nella continuità della grande tradizione cristiana. Il vostro ruolo, carissimi sacerdoti, è fondamentale. Con pazienza e determinazione dovete restaurare il principio dell’unità corale delle arti, come ai tempi della fioritura medievale, rimettere al loro posto i temi iconografici della chiesa di sempre, nello spirito di una visione simbolica liberata dalle decorazioni superflue che nel barocco avevano raggiunto il massimo di ambiguità tra sacro e profano, tra chiesa e palazzo principesco.
La scomparsa del simbolo nella nuova architettura ecclesiale ha molteplici aspetti e cause. In nome della “purezza” di ogni disciplina artistica – pittura, scultura, musica, architettura – che non dovevano essere più contaminate da concetti letterari, filosofici, morali o religiosi, si è arrivato nei tempi moderni alla separazione delle arti, alla disgregazione della loro integrità corale che costituiva la maestà delle cattedrali medievali, i veri musei della civiltà cristiana, aperti al popolo dal sorgere del sole fino al tramonto. Il divorzio tra architettura e le altre arti ha partorito questo vacuum all’interno della nuova chiesa parrocchiale, dei grandi santuari e dei vari altri garages per le anime spuntati nella città.
Per di più, la struttura stessa dell’edificio ha perso i riferimenti simbolici originali. La chiesa non è più orientata,l’altare non guarda più verso il sol levante, come nella tradizione paleocristiana e bizantina, ereditata dal tempio egizio e da civiltà precedenti. Il concetto stesso di “orientatio”, scompare gradualmente già dal periodo post medievale, sostituito da ragioni di inserimento urbanistico del fabbricato nel tessuto della città. Nei tempi moderni si perde completamente ogni traccia di riferimento alla centralità cosmica della chiesa e dell’altare, del rapporto simbolico tra la festa patronale e il punto geografico del sorgere del sole in quel giorno. Siamo ad anni luce dal tempo in cui ogni chiesa era il centro del mondo, il luogo sacro dell’incontro tra uomo e Dio.
La chiesa rappresenta, simbolicamente, il corpo di Cristo. L’abside ne è la testa, la navata il corpo, il transetto le braccia aperte del crocefisso benedicente. Come potrebbe un edificio che sembra piuttosto una sala congressi, una palestra, l’atrio di un motel a cinque stelle o un capannone fieristico impersonare il corpo di Cristo? Il costruttore di turno di questi edifici non si preoccupa di simili particolari, sia perché li ignora, sia perché li considera del tutto superflui.
L’architetto contemporaneo, salvo eccezioni, è figlio di quell’illuminismo che ha acceso sul pensiero umano, per la prima volta nella storia, il faro della luce artificiale di una razionalità senza Dio, nel rifiuto della trascendenza e della millenaria esperienza spirituale dell’uomo. Ma non solo l’architetto.
Il nuovo stile nell’architettura “sacra”, se possiamo ancora chiamarla così, rispecchia in fondo la mentalità regnante a tutti i livelli: statale e privato, consiglio parrocchiale, soprintendenza, sponsor, diocesi e… il parroco.
Evidentemente, l’architetto moderno deve lavorare in assoluta libertà, senza alcun obbligo di imitare i modelli del passato; egli può dare sfogo alla sua immaginazione creativa, pur nel rispetto dei simboli cardinali della chiesa cristiana. Anche dal periodo paleocristiano la geometria della pianta esprime il dialogo tra il cerchio (l’abside) e il quadrato (la navata), tra Dio e l’uomo. L’abside semicircolare, per il suo significato sacro non può essere quadrata, triangolare, o mancare del tutto, così come la navata non può essere circolare, trapezoidale o asimmetrica. Sono regole elementari che non impongono al costruttore una soluzione architettonica prestabilita. E’ libero di immaginare forme nuove, senza però buttar via i significati originali, così come il sacerdote non può svestirsi dei paramenti liturgici per celebrare la messa in blues jeans, come i “preti operai” della teologia della liberazione. Non si può trascurare il significato sacro del rito archetipale.
La famosa chiesa a forma di nave, ideata da le Corbusier nella prima metà del novecento, è solo una metafora, non un simbolo. Suggerisce la sagoma di una nave, ma non é una nave, mentre la chiesa che impersona il corpo di Cristo, è il Cristo stesso. La chiesa del Giubileo di Roma, il lussuoso garage per le anime firmato da un prestigioso nome di oggi, non aveva una croce, perché, presumibilmente la croce non si integrava nell’estetica della facciata. Fu inserita ulteriormente in seguito alle proteste dei parrocchiani.
Negli ultimi trent’anni, da quando decisi di abbandonare l’arte astratta per dedicarmi ad un’arte incentrata sul sacro, ho conosciuto molti sacerdoti giovani diventati buoni amici. Da loro ho saputo che nei seminari teologici non si studia la simbologia dell’iconografia cristiana; si fa cenno soltanto ai simboli essenziali liturgici. I sacerdoti che invece hanno la fortuna di celebrare la messa nelle cattedrali e nelle pievi romaniche in cui si conservano favolosi programmi iconografici medievali, si trovano in difficoltà a svolgere una catechesi visiva per spiegare alla gente, e soprattutto ai giovani, il significato di questi tesori d’arte. La scuola, i media, la televisione non se ne occupano che sporadicamente, le guide turistiche raccontano ai visitatori banalità che non dicono niente, l’insegnamento artistico sfiora il tema del sacro marginalmente, e perfino gli artisti disposti a collaborare dicono che tutta l’arte è per definizione sacra, e che dunque non può esistere una distinzione tra sacro e profano.
In assenza di una iconografia vera, consone alla struttura simbolica dell’edificio, la pietà e il buon senso popolare tenta di animare gli spazi vuoti con immagini e oggetti artigianali fabbricati in serie – cromolitografie, madonnine, santini ecc. – acquistati sul mercato dei souvenirs, oggetti che svolgono una funzione puramente ornamentale, rendendo ancora più anonime le pareti e l’ambiente della chiesa nuova; oggetti che non aggiungono niente alla catechesi della parola, che rischia certe volte di rimanere astratta. Sono pochissimi ormai gli artisti professionisti in grado di concepire e realizzare una iconografia essenziale e unitaria per offrire allo sguardo un supporto visivo alla parola. Purtroppo non esiste oggi un’accademia d’arte sacra dove le giovani generazioni di artisti possano imparare la cultura del simbolo. La necessità di fondare una simile accademia è urgente.
Carissimi sacerdoti, abbiamo bisogno delle vostre energie e della vostra determinazione spirituale per vivere insieme la rinascita della chiesa di Cristo. Non lasciate sola la vostra parola! Il popolo ha bisogno di ascoltare, e, allo stesso tempo, come sempre, di vedere la liturgia.
Camilian Demetrescu
pittore, scultore e studioso d’arte romanica
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