INTERVISTA A CAMILIAN DEMETRESCU – ”LA BIBBIA DEI POVERI”
1- La Cattedrale in quanto Bibbia dei Poveri, presenta un’iconografia leggibile nel Medioevo da persone prive di istruzione. come mai noi laureati, diplomati con a disposizione notevoli strumenti di conoscenza non siamo in grado di comprenderne il significato se non guidati da esperti?
Il libro di pietra della Bibbia dei poveri fu scritto con un linguaggio di comunicazione completamente diverso dal nostro. Noi usiamo una scrittura composta da lettere e strumenti linguistici astratti per dare un nome alla realtà del mondo ed esprimere un concetto su di essa. Un linguaggio che varia da un gruppo umano all’altro, diversificato in una moltitudine di lingue scritte e parlate. E’ quello che noi comunemente chiamiamo l’alfabeto. Padroni di questo linguaggio, ci consideriamo alfabetizzati, e di conseguenza istruiti, senza pensare alla sconfinata ricchezza spirituale e culturale della millenaria tradizione orale, prima dell’invenzione dell’alfabeto.
Il linguaggio della Bibbia dei poveri non è composto da lettere e parole astratte, ma da immagini concrete, colte dal mondo reale in cui viviamo. Un alfabeto diverso, non convenzionale, accessibile a tutti, oltre i confini delle lingue parlate, e quindi universale. Come si può pensare che il contadino medievale non era istruito, solo perché ignorava il nostro alfabeto? L’istruzione non consiste soltanto nel saper leggere e scrivere, ma nella capacità di dare un significato esistenziale e morale a tutto ciò che vediamo intorno a noi.
Quando diciamo che il contadino medievale “analfabeta” conosceva i simboli iconografici meglio degli scienziati di oggi, riconosciamo implicitamente che i veri analfabeti siamo noi, perché incapaci di capire questo linguaggio. Nel medioevo la conoscenza dei significati simbolici delle figure scolpite sulle cattedrali, trasmessa oralmente si tramandava di padre in figlio. Abbiamo perso la chiave di lettura del loro codice simbolico, perché “istruiti” soltanto nella logica del nostro pragmatismo culturale.
Ma la colpa non è tutta nostra. La cultura dei simboli, come portatori di quei valori morali e spirituali perduti, che tutti rimpiangiamo, è ignorata dai manuali scolastici, dai mass media, dall’educazione pubblica e familiare, dalla storiografia e perfino dai seminari teologici, per non parlare della stragrande maggioranza dei preti, dei catechisti e, ahimè, da molti artisti contemporanei che operano nella cosiddetta arte sacra di oggi.
Per la storiografia moderna, i simboli raffigurati sui capitelli, sulle formelle, sui protiri e sui portali delle cattedrali medievali non sono altro che documenti sociologici del tempo che illustrano la vita quotidiana, i mestieri e le condizioni di vita del popolo oppresso e sviato dall’oscurantismo dei preti, e dalle superstizioni. Non a caso si autodefinisce come “Storia sociale dell’arte”, considerando il simbolo una entità soggettiva, difficilmente leggibile, quindi inaffidabile. Non è da meravigliarsi della mancata istruzione dell’uomo moderno, incapace di riconoscere il significato delle immagini sacre, soprattutto in un paese così ricco d’arte medievale come l’Italia.
2- Nonostante questo nostro limite rimaniamo in ogni caso affascinati e colpiti dalla bellezza oggettiva di questi “Libri di Pietra” pur non comprendendone a fondo la vera origine. Questa reazione di stupore però non accade di fronte agli edifici di culto costruiti in epoca contemporanea: cosa è andato perduto?
Nel patrimonio genetico e spirituale dell’uomo sopravvive, nonostante tutto, la nostalgia per i grandi valori della vita. L’aridità morale di un periodo, come il nostro, può costringere l’anima a ritirarsi nelle catacombe dell’essere, ma non riuscirà mai a spegnere, nel profondo della coscienza, la fiamma del ricordo di Dio. Siamo affascinati dal mondo dei simboli, anche se ignari del loro significato, in virtù di questo personale e segreto rapporto col mistero.
Gli abitanti delle città amano appassionatamente la loro cattedrale, dove battezzano i figli, fanno la prima comunione, si sposano, affidano a Dio i defunti e ricordano i loro avi, partecipano alle feste dei Santi e ai grandi eventi del calendario cristiano. La cattedrale e la grande culla della loro anima, darebbero la vita per difenderla, eppure ignorano i pilastri sacri dei simboli che la reggono in piedi da secoli.
Nel rito di consacrazione di una basilica si svolge la trasfigurazione della materia nella realtà dello spirito. L’edificio di pietra diventa il corpo di Cristo. All’inizio della cerimonia le porte della cattedrale sono sbarrate, all’interno regna il buio assoluto. Il vescovo, con il cero in mano, bussa forte alla grande porta per scacciare le tenebre ed entra nel santuario pronunciando le parole della consacrazione.
La cacciata delle tenebre è il primo simbolo del battesimo di una chiesa. Il momento culminante di questo rito è costituito dall’accensione dei cinque ceri sull’altare, mentre il vescovo, tracciando cinque volte il segno della croce con la crisma, proclama:
“Signore che hai fatto la pietra, simbolo della durata e della forza,
questa pietra a te oggi noi dedichiamo come tuo altare”.
Fortunatamente, esiste ancora oggi la volontà di costruire una chiesa nel deserto dei quartieri nuovi delle città. Ma, sfortunatamente, quello che produce l’architetto d’”avanguardia”, non è una chiesa. Può essere un motel, una discoteca, una palestra, una sala convegni con parcheggi e servizi confortevoli; può sembrare tutto quello che serve alla città moderna, fuorché una chiesa, e tanto meno un luogo che possa significare il corpo di Cristo. Hans Sedlmayr, il fondatore della scuola storiografica di Vienna, definiva queste pseudo chiese, con azzeccata espressività, “Garages per le anime”.
Che cosa manca a questi ibridi edifici per meritare la dignità di un luogo di culto? Manca prima di tutto il senso sacro dell’architettura, priva di elementari regoledell’identità cristiana. Nella pianta stessa dell’edificio è assente il simbolo primordiale del rapporto tra uomo e Dio: il dialogo tra il cerchio e il quadrato, tra l’abside semicircolare, dimora del trono di Dio – sancta sanctorum – e il quadrato del nartece, simbolo dell’uomo e della terra destinato ai fedeli partecipanti al rito liturgico. Nella tradizione paleocristiana della chiesa come corpo di Cristo, l’abside rappresenta la testa, il nartece il corpo, il transetto le braccia aperte del crocefisso.
L’architetto moderno è libero, naturalmente, di esprimere a modo suo questo simbolismo elementare, senza però trascurare gli archetipi della grande Tradizione, in nome della totale libertà di espressione.
L’iconografia di questi garages per le anime contraddice anch’essa l’identità cristiana del luogo di culto.
L’essenza del cristianesimo è l’incarnazione del Dio che si fa umo, dell’invisibile che diventa visibile.
Come può una vetrata astratta, una scultura informale o una icona ridotta a forme geometriche raffigurare il volto del Cristo incarnato, svolgere la funzione di catechismo visivo, offrirsi come appoggio iconografico durante la funzione liturgica? Non bastano le parole del sacerdote per ricordare che Dio è sceso fra di noi.
La catechesi verbale, soprattutto in una civiltà incentrata sull’immagine, non è più sufficiente per risvegliare nelle coscienze i grandi eventi dell’avventura cristiana, della storia di Cristo, della Creazione e della vita dei Santi.
Il vuoto di significato scaccia il mistero, lo spazio arido, privo dell’eco biblico dell’immaginario della fede, fa da cassa di risonanza ai rumori della città. La preghiera a occhi chiusi, per ricordare il fascino di una vera chiesa, diventa un atto di sofferta penitenza.
Non dobbiamo quindi meravigliarci se lo stupore non ci assilla quando siamo costretti a parcheggiare la nostra anima in questi garages parrocchiali.
3- L’arte medievale è un universo di simboli che rispecchia e ci fa conoscere l’uomo del suo tempo e, come si è detto, era a lui accessibile: l’arte contemporanea è simbolica, criptica o semplicemente non è accessibile?
Non mi stancherò mai a citare la migliore definizione del simbolo che io conosca:
“Dio è una parola, il regno dei Cieli è una parola… divinità pura che non ha mai avuto né forma né figura. Oltre la parola non ci resta che il simbolo per definire la presenza di Dio” (Meister Eckhart).
Per accertare la presenza di Dio abbiamo, oltre la parola,le arti figurative: la scultura, l’affresco, la vetrata, l’arazzo, l’architettura stessa del tempio. Il senso dell’arte cristiana è riassunto dalle parole di San Paolo: “Per visibilia ad invisibilia”. Ci serviamo del visibile per conoscere quello che non vediamo. L’arte medievale è basata su un codice di segni e simboli oggi inaccessibili all’uomo moderno, per motivi di cui abbiamo già parlato.
A differenza degli ultimi secoli viviamo in una civiltà dominata dalla comunicazione visiva, eppure il messaggio figurativo cristiano delle cattedrali è diventato per noi incomprensibile.
Perché i valori del nostro sistema di comunicazione è profondamente cambiato. Abbiamo inventato mezzi straordinari di comunicazione, ma non sappiamo più comunicare. Le macchine sono talmente sofisticate che possono comunicano fra di loro all’insaputa dell’uomo. E più le macchine per diffondere cultura sono perfezionate, meno cultura si diffonde.
Questo vale per tutte le arti. Pensiamo al dramma della musica: siamo arrivati alla riproduzione perfetta del suono, proprio quando abbiamo sostituito il suono con il rumore assordante.
Se l’arte è lo specchio di una civiltà, quello che vediamo oggi nelle schegge dello specchio frantumato delle varie “biennali” d’arte contemporanea è, a dir poco, agghiacciante. Il disegno, la pittura, la scultura si chiamano tuttora arti figurative proprio perché hanno raffigurato da sempre la realtà dell’uomo e del creato. Sappiamo tutti che cosa è diventata la raffigurazione del mondo nell’arte contemporanea. Il tessuto millenario dell’arte si è sgretolato fino alla dissoluzione totale. Non a caso si parla della morte dell’arte, della post arte.
Eppure, nel suo profondo l’uomo d’oggi ha fame di significati, proprio perché il mondo sta perdendo ogni significato. Paul Ricoeur esprimeva già nel 1966 questo stato d’animo, parlando dei drammi irrisolti della nostra civiltà: “Quello che manca all’uomo d’oggi è certamente la giustizia, sicuramente l’amore, ma più di tutto il significato della vita. Insignificanza del lavoro, del piacere e del riposo, insignificanza della sessualità, ecco i veri problemi che ci assillano”.
In che modo l’arte attuale risponde a questi interrogativi? Sarei felice di poter avere una risposta da un mio collega artista. Non l’ho trovato ancora. Mi chiedo: qual’è in realtà l’essenza del pensiero regnante nel nostro tempo? Il nichilismo – la negazione dei valori acquisiti dall’umanità nella sua lunga storia. Se questo collega virtuale mi replicasse: qual’è il simbolo in cui credi, che cosa potrei rispondere?
Il simbolo dei simboli, il valore primordiale, il prototipo della matrice divina dell’uomo – la prima e l’ultima pietra miliare del cammino verso la Verità – è il volto di Cristo, al centro dell’universo biblico del creato. Ma il volto del Cristo non può essere dipinto con la sola parola, come si vuole oggi nella scarna nudità delle chiese moderne. Ci vuole l’immagine. Il catechismo verbale non basta. Era questo il tema della Bibbia dei poveri, ed è questo che manca nella presunta arte sacra di oggi.
4- L’interpretazione del simbolo è esauribile?
Il simbolo dice altro di quello che si vede e rimanda ad una “realtà più importante e remota” (come sta scritto nei dizionari). Per capire un simbolo bisogna provare di decifrare quella realtà remota, non accessibileall’osservazione diretta.Una scena di caccia raffigurata su un sarcofago paleocristiano, o su un capitello romanico, non è soltanto una banale scena di caccia. L’arciere è simbolo del Cristo cacciatore di anime che tira le frecce per catturare il loro cuore e riportarlo a se, anche al prezzo della sofferenza. Il centauro-arciere che punta invece l’arco verso il cielo, raffigura Satana. Il cervo, simbolo dell’anima, dell’essere assettato di Verità, diventa la sua vittima prediletta. Un uomo nudo scolpito su un capitello significa la bassa natura umana, i suoi istinti carnali, mentre la nudità di un bambino rappresenta la purezza delle anime giuste. Il defunto accolto nel paradiso è raffigurato semplicemente come un fanciullo nudo, svestito dalla pesantezza della sua carne mortale.
Per lo scienziato della storia sociale dell’arte, in mancanza di prove certe sull’identità di simili soggetti, lo studio dei simboli non può costituire una disciplina scientifica. Pensare che il cacciatore che insegue un cervo o un cinghiale può essere simbolo di approccio tra altre due entità simboliche – per esempio tra uomo o demone, tra uomo e Dio, tra vizi e virtù – secondo la logica del nostro professore sarebbe azzardato in mancanza di “fonti sicure”. Per accontentarlo, i mastri medievali avrebbero dovuto forse lasciare degli attestati sul significato dei soggetti raffigurati – un specie di Gazzetta ufficiale dei simboli?
Non esistono simili documenti, perché in quel tempo sarebbero stati inutili. Tutti sapevano leggere la Bibbia dei poveri perché la conoscenza del suo insegnamento si tramandava da una generazione all’altra.
Eppure, nei programmi iconografici medievali confluivano esperienze di civiltà remote – come la Babilonese, Assira, Egizia, Fenice e Greca – assieme a innesti mitologici del mediterraneo arcaico, dei vari Physiologus provenienti dalla fascia cosiddetta mesopotamica dell’ovest della Francia o dei Pirenei, che hanno a loro volta fecondato i Bestiari del mondo medievale, calendari dei comportamenti umani immedesimati nelle figure zoomorfe che abbondano nell’arte simbolica. L’iconografia romanica si è arricchita notevolmente per aver saputo assimilare il grande patrimonio artistico precedente, cristianizzato sapientemente dai monaci e dai dottori della Chiesa.
La lettura popolare dei simboli seguiva la tradizione della cultura orale. Senza uscire dall’alveo delle fonti bibliche ed evangeliche dei soggetti illustrati sui muri delle cattedrali, ogni generazione rileggeva, interpretando spontaneamente il loro significato. Così è nata e si è perpetuata una favolosa storiografia popolare a cui dobbiamo attingere per capire ancora il senso di questo tesoro della Bibbia dei poveri.
Camilian Demetrescu