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Il Papa dona ai cattolici di Turchia un prezioso calice “made in Reggio Emilia”

Quello di Leone XIV in Turchia e Libano (27 novembre-2 dicembre 2025) è certamente un viaggio storico. Storico poiché parte dalla storia: dai 1700 anni del primo concilio ecumenico in cui, contro visioni teologiche fuorvianti, è confermo il dogma della divinità di Cristo e quindi il mistero della incarnazione di Dio. Storico per il tempo in cui si compie, un tempo in cui l’interesse per la sopraffazione di un popolo su un altro pare avere la meglio sulla prioritaria esigenza di ricerca di scelte a servizio dell’umanità intera.

Per i reggiani c’è un interesse ulteriore in questo viaggio papale. Infatti, è made in Reggio il calice che Leone XIV ha utilizzato durante la celebrazione della Messa nella Volkswagen Arena di Istanbul il pomeriggio di sabato 29 novembre e donato ai cattolici di Turchia al termine della liturgia. Come evidenziato dal Vicario Apostolico di Istanbul mons. Massimiliano Palinuro «L’altro segno di speranza che il Papa ha portato a Nicea è il dono del “Calice del Concilio”…» (https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-11/quo-275/a-nicea-per-un-nuovo-slancio-all-evangelizzazione-e-al-cammino-e.html).

Commissionato dalla Parrocchia della Basilica Papale di S. Pietro con il supporto del Capitolo Vaticano, l’oggetto liturgico è stato pensato, infatti, come dono del Pontefice alla comunità cattolica di Turchia in memoria del XVII centenario del Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino a seguito della predicazione perniciosa di Ario, presbitero di Alessandria d’Egitto. A realizzare il calice è stato l’orafo reggiano Giuliano Tincani, che ha tradotto le intuizioni di Fernando Miele dell’ufficio beni culturali della Diocesi di Reggio Emilia.

L’oggetto, accompagnato dalla sua patena, è in oro, argento e cristallo di rocca. Artigianalmente lavorato in ogni sua componente, il vaso liturgico si impone per la densa simbologia che ne accresce il valore nel contesto celebrativo e ne fa un monumentum a ricordo del Concilio cristologico di Nicea.

Simbolici sono i materiali utilizzati. Così l’argento è il metallo “pasquale”: riferimento, al contempo, alla passione (per le 30 monete prezzo del tradimento di Cristo) e all’annuncio della resurrezione che risuona argentino dalle voci angeliche sulla tomba vuota. La calda luce dell’oro è riflesso della gloria di Dio che si manifesta nella storia dell’uomo facendosi conoscere come un “Dio di relazioni”. Il cristallo di rocca, in cui è inserita una croce cosmica in oro, dice dell’Amore del Creatore che si fa creatura in Cristo per essere vicino a ciascun uomo.

Punto di forza dell’opera di Tincani è il testo del Simbolo di Fede stabilito a Nicea le cui le circa 520 lettere in greco minuscolo sono state tagliate singolarmente da una lastra in oro e poi saldate, una ad una, in andamento cocleariforme sulla superficie d’argento del calice, in una spirale che partendo dal basso si eleva fino al bordo della coppa. Così il testo del Simbolo Niceno è trasformato in “motivo iconografico” che eleva l’oggetto a preghiera. Sul piede del calice sono analogamente saldate le lettere auree, sempre in greco, che celebrano Cristo, agnello immolato, ma vincitore della morte.

Cinque croci all’interno della patena ricordano le cinque trafitture del corpo di Cristo crocifisso.

Gli oggetti sono contrassegnati dallo stemma papale inciso da Giuliano Tincani che nella minuziosa fattura degli oggetti ha recuperato antiche tecniche le cui radici risalgono alla grande tradizione orafa etrusca e greca. Non nuovo a realizzazioni per il contesto liturgico, oltre che al ripristino delle opere antiche, l’artista reggiano per la creazione dell’opera di commissione vaticana ha applicato al meglio le sue capacità tecniche e la sua poetica, offrendo un prodotto che ha ampiamente convinto quanti lo hanno potuto ammirare, e soprattutto ha suscitato l’ammirazione del Papa che ha voluto incontrare personalmente l’artista a Roma prima del suo viaggio in Turchia.

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