HomeARCHITETTURAAdeguare per celebrare. Tradizione e dinamismo nell’architettura delle chiese

Adeguare per celebrare. Tradizione e dinamismo nell’architettura delle chiese

Il termine può trarre in inganno: “adeguare” implica che vi sia un modello cui riferirsi, una precisa condizione cui corrispondere. Tale condizione è tratteggiata nelle indicazioni del Concilio e da diversi successivi documenti ma in linea, per così dire, teorica. Il problema è che ogni chiesa ha una storia sua che va rispettata, una personalità che non può essere stravolta. E la complessità insita in ogni edificio dedicato al culto – il sommarsi degli aspetti simbolici, liturgici, artistici, funzionali, strutturali, l’essere casa della comunità e tempio dello spirito assieme – viene portata all’estremo dall’atto dell’adeguamento. Perché si tratta di operazione a carattere comunitario, come tutto ciò che attiene alla chiesa, in cui all’insieme delle relazioni orizzontali, con la comunità cristiana, con la città, con la cultura del tempo, si sommano le relazioni verticali che riguardano non solo la spiritualità, ma anche la profondità storica: la tradizione sulla quale l’adeguamento è chiamato ad innestarsi. Per continuarla, non per cancellarla, stravolgerla o tradirla.

C’è stato un tempo in cui a volte è sembrato che il vento innovatore del Concilio comportasse un superamento del lascito incastonato nei muri, nelle sistemazioni dei poli liturgici esistenti, negli arredi delle chiese. Le esperienze compiute nei decenni successivi consentono di considerare la situazione con sobria e ragionata consapevolezza, con la maturità che deriva dal lungo ripensamento su quanto avvenuto nel contesto delle potenzialità e delle asprezze del tempo presente, tenendo conto di quanto importante e produttivo possa essere l’innesto del nuovo sull’esistente.

Se le tematiche attinenti al progetto delle chiese nuove hanno dato luogo a molteplici dibattiti, incontri, pubblicazioni, quelle attinenti all’adeguamento delle chiese esistenti hanno trovato un momento di particolare significato, riassuntivo del cumulo di esperienze sinora compiute, nel convegno nazionale dal titolo “L’adeguamento liturgico come progetto. Un cammino ecclesiale nella cultura del nostro tempo”, organizzato dall’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiana, svoltosi a Cremona il 27 e 28 giugno 2023, con l’occasione della conclusione dell’adeguamento liturgico della Cattedrale di quella città.

Gli Atti del convegno, pubblicati col titolo Adeguare per celebrare, a cura di Massimiliano Valdinoci (Gangemi editore, pagine 240, euro 26,00), consentono di attingere alle molteplici riflessioni lì presentate “sull’identità del culto cristiano e sui valori sottesi alla trasformazione degli spazi, non perdendo di vista la qualità artistica in rapporto alla Liturgia e alla Bellezza”, come scrive nella prefazione S.E. Mons Giuseppe Andrea Salvatore Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario della Conferenza Episcopale Italiana.

Dall’ecclesiologia alla concretezza degli spazi

Molteplici sono le relazioni di carattere ecclesiologico e liturgico che offrono una sintesi dei documenti magisteriali disponibili in materia e di diverse esperienze pastorali (testi di S.E Mons. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia, S.E. Mons, Antonio Napolioni, vescovo di Cremona e ospite dell’evento, S.E. Mons Orazio Francesco Piazza, Vescovo di Viterbo, Don Luigi Girardi, dell’Istituto di Liturgia Pastorale S. Giustina di Padova, Don Alberto Giardina, Direttore dell’Ufficio Liturgico Nazionale della C.E.I.): tutte esposte con limpida chiarezza che consente anche al profano di avvicinare tematiche assai complesse. Altri testi insistono su altri aspetti fondamentali per la concezione dello spazio dedicato al culto, quali l’estetica e la storia dell’arte e dell’architettura (Prof. Giuseppe Arcidiacono, Prof. Ettore Rocca). L’articolato sistema adottato dalla Conferenza Episcopale Italiana per mettere in campo i nuovi progetti di adeguamento è illustrato dall’Arch. Giuseppe Giccone. Di particolare rilevanza sono gli esempi di concreti adeguamenti, riferiti dai loro artefici, delle cattedrali di Cremona (al riguardo cfr https://bce.chiesacattolica.it/adegua_cattedra/diocesi-di-cremona/ ) e di Sessa Aurunca (al riguardo cfr https://bce.chiesacattolica.it/adegua_cattedra/diocesi-di-sessa-aurunca/ ). E poi ancora della cattedrale di Pescia, il cui adeguamento è raccontato dall’Arch. Fabrizio Rossi Prodi. E delle chiese di Santa Maria sopra Minerva in Assisi (Arch. Paolo Bedogni), Sant’Andrea a Mantova (Prof. Paolo Zermani), San Giovanni Bono a Milano (Arch. Donatella Forconi che con l’ausilio dell’Arch. Carlo Capponi ha posto in luce il ruolo di consulente-committente ricoperto dal compianto Mons. Giancarlo Santi). Giovanni Berera, della Fondazione Adriano Bernareggi di Bergamo, ha dato conto di diversi adeguamenti compiuti su chiese bergamasche, antiche e di epoca contemporanea.

La missione delle chiese nel nostro tempo

Una problematica che con particolare forza risuona ai nostri giorni è stata affrontata, da varie angolature, dall’Arch. Giuseppe Stolfi (Soprintende SBAP per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese), dal Prof. Don Juan Rego (docente di Teologia liturgica fondamentale, Estetica liturgica e Antropologia e liturgia nella Pontificia Università della Santa Croce), e da Don Umberto Bordoni (già Direttore della Fondazione Scuola Beato Angelico di Milano). Si tratta delle questioni collegate al fatto che nel mondo attuale sempre più desacralizzato la frequentazione delle chiese da parte dei fedeli si è contratta, mentre nelle chiese di valore storico-artistico aumentano le visite di carattere turistico i cui effetti sono di schiacciare quei luoghi di culto sulla dimensione culturale a discapito della loro natura e finalità cultuale. E tuttavia le chiese restano tali, conformate dalla loro missione di carattere religioso, liturgico, simbolico che non può essere ridotto alla funzione museale.

Giuseppe Stolfi ha posto la domanda: come armonizzare le esigenze di tutela degli edifici storici, con le necessità di interventi trasformativi che rendano gli spazi liturgici coerenti con la pratica attuale. La risposta si trova nella nozione di “aggiunta”, intesa quale “forma legittima di stratificazione architettonica” così che l’adeguamento va praticato, nel rispetto dei criteri di reversibilità, aggiungendo elementi che consentano l’esercizio della liturgia postconciliare senza incidere sulle forme e gli apparati esistenti. Ovvero, l’adeguamento deve recepire “la sua legge formativa dal contesto storico-artistico su cui opera”.

Juan Rego ha messo in rilievo come vi sia una tendenza a considerare gli adeguamenti solo in relazione alle condizioni del presbiterio e dei luoghi liturgici ivi ospitati, avendo come obiettivo anzitutto la celebrazione eucaristica. Questo porta a lasciare in secondo piano quanto accompagna la pratica degli altri riti e a incentrare gli interventi di carattere artistico, espressivi dell’estetica contemporanea, solo sulla conformazione dei principali poli liturgici, quasi che la presenza delle immagini costituisca per i fedeli un motivo di distrazione. Invece lo spazio della chiesa va inteso nell’intera sua complessità, grazie alla quale esso favorisce non solo la pratica liturgica, ma anche le molteplici modalità in cui si esprimono la preghiera e la pietà popolare. In un tempo come quello corrente, in cui alle comunità cristiane si chiede una “maggiore comprensione della missione specifica della Chiesa” nella società attuale: una missione che viene esplicitata proprio nella conformazione stessa delle chiese.

E del ruolo missionario che anche le chiese sono chiamate a portare avanti, col loro carico di testimonianze artistiche, tratta anche Umberto Bordoni, specificando che l’adeguamento va inteso come “atto ermeneutico”, “capace di interpretare l’intero edificio, con la sua storia senza relegarlo a pura funzione di scenario”. E in questo tempo in cui si diffonde la tendenza alla gentrificazione e turistizzazione dei centri storici, nei quali perlopiù si trovano le chiese da adeguare, sarebbe auspicabile ricercare una nuova alleanza con le autorità civili, con l’intento di valorizzare e conservare il portato culturale delle chiese ma senza svilirne il contenuto rituale che ne costituisce l’anima vitale. Per tutto questo si richiede un sempre maggiore coinvolgimento delle comunità parrocchiali.

Nel suo intervento conclusivo Don Luca Franceschini, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, ha ricordato come sia importante che l’adeguamento sia inteso come occasione per riconcettualizzare gli spazi delle chiese nei molteplici aspetti che vi concorrono: dal modo in cui si prestano a essere abitati dal canto, alla possibilità di essere rivestiti da paramenti liturgici e da arredi floreali. Perché “la liturgia è fatta di dettagli” che a volte si stenta a “collegare in modo armonico”. E non bisogna cessare di riflettere su come compiere gli adeguamenti liturgici “affinché la natura e la bellezza del luogo di culto e di tutta la suppellettile favorisca la pietà e manifesti la santità dei misteri celebrati”.

Un punto fermo

Il volume “Adeguare per celebrare” pone in evidenza come liturgia abbia anche un valore informativo per i lontani, oltre che agogico e formativo per chi pratica la strada della conversione cui tutti si è sempre è comunque chiamati. E a sessant’anni dal Concilio costituisce un punto fermo, che ben riassume le condizioni attuali e aiuta chiunque possa essere coinvolto del gravoso compito di custodire, abitare, aggiornare o anche solo contemplare in modo consapevole la casa della comunità celebrante, il luogo della preghiera, l’edificio che da due millenni tutti accoglie nella consolazione della misericordia e nella luce della speranza.

Adeguare per celebrare

a cura di Massimiliano Valdinoci (Gangemi editore, pagine 240, euro 26,00)

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