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Un ricordo di monsignor Giancarlo Santi. Due anni dopo, alla Casa della Madia

Se non sappiamo non possiamo agire” ha notato don Valerio Pennasso, già responsabile dell’Ufficio nazionale beni culturali ecclesiastici e edilizia di culto della CEI, rievocando la figura e l’opera di mons. Giancarlo Santi (13 marzo 1944 – 24 novembre 2022) in un convegno svoltosi nel secondo anniversario del suo ritorno alla casa del Padre.

L’incontro, che ha avuto luogo presso la Casa della Madia di Albiano, è stato aperto da Enzo Bianchi e, moderato da Goffredo Boselli, ha visto la partecipazione come relatori di Carlo Capponi, Massimiliano Valdinoci e Carla Zito, oltre agli interventi di tanti altri che hanno conosciuto Santi come amici, parenti, collaboratori.

L’osservazione con cui Pennasso ha aperto il suo intervento si riferiva ai molteplici corsi organizzati da Santi a partire da quando, nel 1995, è stato nominato direttore dell’appena costituito Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI: in quel tempo, alla metà degli anni ‘90, doveva ancora maturare la collaborazione tra Chiesa e Stato su un tema di importanza fondamentale qual è quello dei beni culturali. E, considerato che per la stragrande maggioranza i beni culturali (architetture di pregio, opere artistiche, manoscritti su vari argomenti tra i quali le partiture musicali) accumulatisi nel nostro territorio sono stati ispirati da tematiche religiose o commissionati per luoghi legati alla vita della Chiesa, era quanto mai necessario e urgente che tale collaborazione avvenisse su binari ben definiti e atti a garantire al meglio la tutela dell’esistente. Ma nella Chiesa ancora mancava personale specializzato, che fosse in grado di dialogare nel modo più opportuno con gli organismi statali preposti alla tutela dei beni: di qui l’impegno riversato da Santi nel promuovere attività formative indirizzate alla conoscenza dei beni culturali ecclesiastici, in tutta la loro ampiezza e diffusione, oltre che a ottenere una fattiva collaborazione con le molteplici figure professionali importanti per la loro conservazione: restauratori, storici dell’arte, museografi, archeologi, ecc.

L’incontroalla Casa della Madia. Al tavolo della presidenza, da sinistra si riconoscono: Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Valerio Pennasso, Carla Zito, Massimiliano Valdinoci. Foto di Leonardo Servadio

Com’è noto, per quanto le tematiche artistiche siano sempre state cruciali nel diffondere il messaggio cristiano, la preparazione dei presbiteri tendeva a tralasciare le discipline storico artistiche, per cui questi, per solito, non avevano la competenza necessaria per riconoscere l’importanza dei beni culturali presenti nelle parrocchie e mancavano della capacità di dialogare con le figure professionali la cui opera è necessaria per valorizzarli o semplicemente mantenerli. Non a caso un enorme problema di fronte al quale ci si trovava era quello dei furti nelle chiese: tanti oggetti antichi sono stati sottratti con relativa facilità da quegli edifici che necessariamente sono aperti all’accoglienza, e non protetti come lo sono i musei.

Quindi la prima preoccupazione di Santi una volta divenuto il primo responsabile dell’Ufficio nazionale beni culturali CEI è stata di attivare corsi, tenuti da diversi esperti oltre che da lui medesimo. I corsi si rivolgevano a presbiteri e altri religiosi da un lato e, dall’altro, a tecnici e altro personale civile che, pur essendo già dotato di formazione professionale in campi attinenti ai beni culturali, tuttavia era carente di una specifica formazione nell’ambito della cultura e della tradizione della Chiesa.

Nel riaprire la Chiesa al discorso della conservazione dei beni culturali, si segnala il fatto che quale direttore dell’Ufficio beni culturali ecclesiastici egli ha preparato e accompagnato gli accordi che, a completamento dei Patti Lateranensi, si sono tradotti nella Intesa relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, nelle due redazioni del 1996 e 2005: grazie a questa si è costituita un’armonizzazione tra i sistemi di catalogazione dei beni che ricadono sotto lo Stato e sotto la Chiesa e si è stretta una collaborazione tra il personale della Chiesa e quello degli apparati statali.

Su tale base è stata lanciata l’inventariazione e successiva catalogazione dei beni culturali della Chiesa, nonché delle sue architetture: opera imprescindibile per conoscere quali e quanti sono i beni culturali esistenti, di sostanziale importanza anche per la loro protezione dai furti (un bene catalogato è più facilmente reperibile quando finisce nel mercato nero delle opere rubate). È stato dato un impulso rilevante per il costituirsi di musei ecclesiastici ove conservare opere di non immediata rilevanza per la pratica cultuale e si è costituita anche l’Associazione dei musei ecclesiastici.

Ed è stato dato un nuovo impulso alla creazione di nuove opere di valore. Questo vale per le opere d’arte, e al riguardo rilevante è stato l’impegno di Santi nella redazione del sussidio “Spirito creatore” inteso a promuovere la pastorale dell’arte, come ha notato Massimiliano Valdinoci nel corso dell’incontro presso la Casa della Madia. Quel sussidio per le opere d’arte ha la stessa rilevanza che hanno per le opere di architettura le due Note pastorali del 1993 e 1996 sulla progettazione di nuove chiese e sull’adeguamento delle chiese esistenti.

Da architetto qual era, Giancarlo Santi, oltre a promuovere corsi atti a spiegare ai progettisti come affrontare il progetto di una nuova chiesa o un suo adeguamento, ha anche lanciato l’iniziativa dei “Progetti Pilota”: un raffinato sistema concorsuale, frutto di anni di esperienza, perfezionatosi nel tempo, che tra l’altro permette che l’occasione dell’erezione di una nuova chiesa sia anche occasione di maturazione della comunità che di quella chiesa si occuperà. E, soprattutto, ha segnato il ritorno della Chiesa alla committenza di architetture di grande pregio che, assumendo linguaggi coerenti con la cultura contemporanea, testimoniano quanto di meglio la creatività e la tecnica oggi sanno tradurre in spazi adatti al culto. Di qui che, appresa la lezione dei primi concorsi istituiti dal Vicariato romano in vista del Grande Giubileo del 2000, i Progetti Pilota CEI abbiano puntato sulla necessità di convocare concorsi per gruppi di progettisti, supportati anche da esperti in liturgia: così che il risultato sia sempre un’architettura adatta a ospitare i riti liturgici.

Tra le opere compiute da Santi nel suo periodo di responsabile dell’Ufficio romano, assai rilevante è stato anche l’impegno per lanciare le indagini conoscitive sulle cattedrali italiane, quale preparazione per il loro adeguamento liturgico. Su tale base sono stati redatti volumi che riassumono la loro storia e i loro pregi. Ma sono solo alcuni dei tanti volumi la cui redazione e pubblicazione ha promosso l’Ufficio diretto da Santi: questi son giunti a costituire la più importante raccolta esistente al mondo di scritti sull’architettura delle chiese, soprattutto delle chiese postconciliari.

Se Giancarlo Santi ha avuto la capacità di strutturare al meglio l’Ufficio nazionale beni culturali della CEI, questo è dovuto anche all’esperienza da lui maturata nella diocesi di Milano, dove dal 1972 e per volontà del card. Giovanni Colombo, allora Arcivescovo ambrosiano, dopo aver completato gli studi di architettura si è dedicato sia alla gestione dei beni culturali sia alla committenza di nuove chiese, in quest’ultima funzione supportato dal compianto mons. Giuseppe Arosio. Di questa prima epoca “milanese” ha parlato Carlo Capponi, a sua volta già responsabile per i beni culturali ecclesiastici dell’Arcidiocesi di Milano.

Dopo i dieci anni passati a Roma, Santi è tornato a Milano dove, oltre all’impegno pastorale in parrocchia, si è dedicato all’insegnamento nell’Università Cattolica e alla redazione di volumi attinenti all’architettura contemporanea, come ha mostrato Carla Zito. In questi egli ha messo in luce i migliori esempi di chiese contemporanee che sono state realizzate in tutto il mondo. Perché gli interessi conoscitivi di Giancarlo Santi non si sono mai limitati al territorio italiano, hanno sempre spaziato oltre i confini. Non a caso la sua ultima opera è una monumentale raccolta dei documenti postconciliari che, redatti dalle conferenze episcopali di tutti i Paesi, sono volti a tradurre in indicazioni pratiche, adatte alle varie culture nazionali, quanto emerso dal Concilio in merito alla liturgia e agli edifici di culto.

Né va dimenticato che con la sua attività nel Comitato scientifico dell’esposizione vicentina di oggettistica per il culto, Koinè, Giancarlo Santi ha dato anche un notevole impulso alla conoscenza e alla realizzazione di oggetti per il culto, e non solo in Italia.

Nel complesso si può dire che Giancarlo Santi ha lasciato un’immensa eredità. Questa spazia dall’attenzione e dalla cura con la quale si è occupato della sua comunità parrocchiale, testimoniata da diversi parrocchiani che hanno ricordato come, anche quando lavorava a Roma, tutte le domeniche celebrasse e confessasse in parrocchia oltre che presso l’Università Bocconi, dove davanti al suo confessionale c’era sempre una fila di giovani che attendavano di poter essere da lui ascoltati, all’immensa produzione di letteratura specializzata da lui promossa facendo conoscere anche diversi nuovi autori, alla sua stessa, vasta, numerosa opera scritta, alle molteplici chiese erette o adeguate in virtù del suo impegno, ai tanti che da diversi ambiti professionali si sono interessati all’architettura delle chiese grazie alle iniziative da lui lanciate.

Tra queste, non secondaria è stata quella dei convegni liturgici internazionali alla cui organizzazione egli ha partecipato insieme con Enzo Bianchi e con Goffredo Boselli. Anche di questi eventi resta l’imponente documentazione in cui sistematicamente si analizzano i diversi luoghi liturgici sotto il profilo artistico, architettonico, storico. A completamento di quella che è stata la più grande avventura realizzata in questi ultimi decenni per far sì che le indicazioni conciliari siano tradotte in conoscenza condivisa e in realizzazioni pratiche, figlie del nostro tempo ma inserite con piena dignità nella grande tradizione della Chiesa.

L’ingresso della Casa della Madia. Foto di Leonardo Servadio
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